06.10.16 – DIETROFRONT SULLA GOVERNANCE DELLE PARTECIPATE, VIA I DIPENDENTI PUBBLICI DAL CDA – Gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti

DIETROFRONT SULLA GOVERNANCE DELLE PARTECIPATE, VIA I DIPENDENTI PUBBLICI DAL CDA – Gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti
 
 
In tema di governance delle società pubbliche il Dlgs 175/2016 riscrive le norme per la nomina degli amministratori, cercando di mettere a punto una materia che negli ultimi anni è stata più volte oggetto di ripensamento da parte del legislatore.
L’articolo 28 del nuovo decreto svuota di contenuto l’articolo 4 del Dl 95/2012, convertito dalla legge 135/2012, già frutto dell’articolo 16, primo comma, della legge 114/2014, che aveva novellato il disposto con un cambio di rotta della spending review, relativamente agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica per la governance delle partecipate. A seguito di tale modifica, infatti, la nomina di dipendenti pubblici nei consigli di amministrazione delle società partecipate dalla Pa aveva cessato di costituire un obbligo di legge, per degradare a una mera facoltà rimessa alla scelta discrezionale del socio pubblico.
Vecchie e nuove regole
Nella versione antecedente all’entrata in vigore del Dlgs 175/2016, il comma 4 dell’articolo 4 del Dl 95/2012, stabiliva, in tema di società strumentali, che soltanto «qualora siano nominati dipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione, o della società controllante in caso di partecipazione indiretta o del titolare di poteri di indirizzo e di vigilanza (…) essi hanno l’obbligo» – in virtù del principio di onnicomprensività della retribuzione – «di riversare i relativi compensi all’amministrazione o alla società di appartenenza».
A tale facoltà (e non più obbligo) di nominare i dipendenti nel Cda faceva pure rinvio il comma 5 del suddetto articolo 4, per quanto riguardava, a tutto campo, la guida delle altre società a totale partecipazione pubblica, diretta o indiretta.
Ora tutto cambia con il nuovo testo unico sulle partecipate, che al comma 8 dell’articolo 11 sancisce in modo lapidario che «gli amministratori delle società a controllo pubblico non possono essere dipendenti delle amministrazioni pubbliche controllanti o vigilanti»
Si volta pagina, dunque, con il sostanziale riconoscimento che la nomina dei dipendenti della Pa ai vertici società pubbliche si è dimostrata un fallimento, ossia non soltanto un rimedio inefficace allo scopo, ma anche una misura impraticabile nella gestione delle partecipate a causa della confusione di ruoli che il meccanismo del Cda misto ha generato.
Distinzione di compiti
È il caso di ricordare che l’articolo 4 del Dlgs 165/2001 pone una chiara distinzione tra i compiti dell’amministratore e quelli dei funzionari dell’ente, stabilendo che «gli organi di Governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti», mentre «ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati».
Nel quadro di tali principi, come c’era da aspettarsi, la nomina di funzionari dell’ente socio nei consigli di amministrazione delle partecipate si è rivelata una misura foriera di equivoci e malintesi, che ora viene definitivamente archiviata.