06.10.16 – NO ALLE SANZIONI ANAC FUORI TEMPO MASSIMO PER NON LEDERE L’EFFETTIVITÀ DEL DIRITTO DI DIFESA
Illegittimo il provvedimento sanzionatorio adottato dall’Anac, dopo l’assunzione dei poteri dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, consistente in una sanzione pecuniaria di euro 4.500 e una interdittiva dalle procedure di affidamento per un periodo di mesi tre, a decorrere dalla data di pubblicazione dell’annotazione nel casellario informatico di cui all’articolo 7, comma 10, Codice dei contratti pubblici. Con la sentenza 15 settembre 2016 n. 9776, la sezione III del Tar Lazio – Roma ha dichiarato illegittimo il provvedimento per violazione del termine massimo di conclusione del procedimento fissato dalla stessa Autorità in 180 giorni decorrenti dalla data di comunicazione di inizio del procedimento ex articolo 7 della legge n. 241 del 1990 (si veda anche l’articolo pubblicato sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 4 ottobre 2016). Il giudice amministrativo ha ritenuto, infatti, che questo ultimo termine debba ritenersi perentorio in quanto limite massimo per la definizione dei procedimenti sanzionatori di competenza dell’Anac, in base al disposto dell’articolo 6 del Regolamento unico dell’Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici del febbraio 2014 adottato ai sensi dell’articolo 8, comma 4, del Dlgs n. 163 del 2006. Lo stesso giudice ha notato come, peraltro, la detta Autorità, quando nel febbraio 2014 ha adottato il nuovo regolamento che ha disciplinato il procedimento di cui all’articolo 38, comma 1-ter, del Dlgs n. 163/2006 (introdotto nel 2011 con il Dl n. 70/2011), ha richiamato nelle premesse l’articolo 8, comma 4, del medesimo Dlgs 163/2006. Pertanto, sebbene il regolamento del 2014 non stabilisca espressamente che il termine per la conclusione debba essere considerato perentorio, non è irragionevole ritenere che nella specie il provvedimento sanzionatorio sia stato adottato in violazione di quanto prescritto dalla normativa primaria (articolo 8, comma 4, del Dlgs n. 163/2006), la quale afferma chiaramente che l’esercizio del potere sanzionatorio da parte dell’Autorità deve essere improntato al «rispetto dei principi della tempestiva comunicazione dell’apertura dell’istruttoria, della contestazione degli addebiti, del termine a difesa, del contraddittorio, della motivazione, proporzionalità e adeguatezza della sanzione, della comunicazione tempestiva con forme idonee ad assicurare la data certa della piena conoscenza del provvedimento…».
La perentorietà del termine
Il Tar Lazio ha peraltro rilevato che tale approccio (ossia la natura cogente dell’indicazione contenuta nell’articolo 8, comma 4, del Dlgs n. 163 del 2006) non risponde solo a una logica meramente formalistica, ma assume, invece, contorni di carattere sostanziale, in quanto la conclusione di un procedimento sanzionatorio a distanza di anni dallo svolgimento dei fatti rischierebbe di ledere il diritto di difesa dell’incolpato, rendendone più difficoltosa la ricostruzione della vicenda con l’ausilio di tutti i soggetti coinvolti, ma anche perché lederebbe il principio di certezza della sanzione e di affidamento; principio tanto più importante e necessario in un ambito come quello in cui opera la ricorrente, che sarebbe esposta alle conseguenze derivanti da un provvedimento sanzionatorio come quello in esame, che le impedirebbe di competere efficacemente nel settore economico in cui opera (in termini pienamente adesivi: Tar Lazio, sezione III, 14 luglio 2015, n. 9379; id., 13 dicembre 2015 n. 13668).
I precedenti giurisprudenziali La sentenza del Tar Lazio ha ricordato anche che, su analoga problematica, in tempi non lontani, abbia avuto modo di pronunciarsi anche il Consiglio di Stato, nell’affrontare la questione della perentorietà del termine per la conclusione dei procedimenti sanzionatori di competenza della Banca d’Italia, di cui all’articolo. 145 del Dlgs 1° settembre 1993 n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), termine fissato dalla stessa Autorità con proprio regolamento, come nel caso in esame. In particolare, nella sentenza della Sez. VI, 6 agosto 2013 n. 4113, il Collegio ha ritenuto, in primo luogo, di non doversi discostare dall’indirizzo recentemente assunto dalla stessa Sezione del Consiglio di Stato con sentenza 29 gennaio 2013 n. 542 circa la natura perentoria del termine di 240 giorni, previsto dal regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008, per i procedimenti sanzionatori di cui all’articolo 145 del Dlgs 1° settembre 1993 n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Va infatti considerato – visto anche l’indirizzo della Corte di Cassazione (Cassazione sezioni unite, 27 aprile 2006 n. 9591, secondo cui il termine per la conclusione del procedimento amministrativo dell’articolo 2, comma 3, legge 241/1990 n. 241 non è applicabile ai procedimenti di irrogazione delle sanzioni amministrative disciplinati dalla legge n. 689/1981) – che «il procedimento sanzionatorio affidato ad una pubblica amministrazione e regolato dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, ha caratteristiche speciali che lo distinguono dal procedimento amministrativo come disciplinato dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, e che sono tali da imporre la perentorietà del termine per provvedere, al fine di assicurare l’effettività del diritto di difesa, con generalizzazione al riguardo dei principi sanciti dalla giurisprudenza»).