17.11.2016 – REBUS COMUNI SU DISMISSIONE DELLE MICRO-PARTECIPAZIONI NON STRATEGICHE
REBUS COMUNI SU DISMISSIONE DELLE MICRO-PARTECIPAZIONI NON STRATEGICHE
Rischia di imboccare una strada senza uscita il Comune che vuole dismettere la propria quota azionaria di minoranza in una partecipata, non strategica ed esigua, quindi ininfluente rispetto alle scelte gestionali della società. Lo dice chiaramente la Corte dei conti del Veneto con la delibera del 7 novembre 2016 n. 362. L’ente locale, ritenendo non necessaria a fini istituzionali la partecipazione (pari al 2%) in una società mista pubblico-privata per la gestione di un aeroporto, dispone la dismissione della quota con la delibera consiliare che approva il piano di razionalizzazione in base all’articolo 1, comma 611, della legge 190/2014.
Gare deserte Una prima gara a evidenza pubblica indetta dal Comune va deserta per mancanza di acquirenti, come pure non ha alcun esito la seconda, di modo che il Comune decide alla fine di interpellare gli altri soci con una richiesta di manifestazione di interesse all’acquisto, ma senza frutto. A questo punto all’ente non resta che rivolgersi alla società aeroportuale chiedendo l’applicazione dell’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013 (stabilità 2014), secondo cui una volta accertata l’impossibilità di alienare la partecipazione quest’ultima «cessa ad ogni effetto», ed «entro dodici mesi successivi alla cessazione la società liquida in denaro il valore della quota del socio cessato in base ai criteri stabiliti all’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile».
L’assemblea dei soci oppone Tanto è il rigore di tale norma, che l’articolo 7, comma 8-bis, della legge 125/2015 ribadisce che «qualunque delibera degli organi amministrativi e di controllo interni alle società oggetto di partecipazione che si ponga in contrasto con le determinazioni assunte e contenute nel piano operativo di razionalizzazione è nulla ed inefficace» (comma 569-bis del suddetto articolo 1). In questa cornice normativa, nel prosieguo dell’istruttoria il Comune azionista si trova dinanzi a un ulteriore ostacolo alla vendita: l’assemblea dei soci reputa la liquidazione della quota del socio pubblico in contrasto con l’interesse sociale per il fatto di determinare una riduzione dell’investimento effettuato dagli altri soci. È interessante notare che la società, nel negare il proprio consenso alla liquidazione, mette in dubbio l’applicabilità del comma 569 della legge di stabilità 2014 ai soggetti di diritto privato, prefigurando una possibile violazione dei principi generali dell’ordinamento. Nella situazione kafkiana in cui finisce il Comune intenzionato a dismettere la micro-partecipazione, un ulteriore elemento di criticità sta nel fatto che l’ente, messo in minoranza per il voto contrario degli altri soci, non ha neppure la possibilità di impugnare la relativa delibera assembleare, dacché l’azione prevista dall’articolo 2377 del codice civile spetta soltanto ai soci dissenzienti che rappresentino almeno il 5% del capitale sociale.
La decisione Nel trattare la questione, la sezione Veneto ritiene che l’articolo 1, comma 569, della legge 147/2013, facendo rinvio a una liquidazione della quota in base ai criteri previsti dall’articolo 2437-ter, secondo comma, del codice civile, prefiguri «un’ipotesi di recesso extra ordinem e sui generis conseguente alla mancata dismissione delle partecipazioni in esame entro il termine legale». Il collegio esprime apprezzamento per l’operato dell’ente, al quale riconosce il merito di aver ricostruito «in maniera puntuale e coerente» il percorso argomentativo indicato dalla normativa, ma dopo di che i giudici contabili si arrestano dinanzi all’impossibilità di eseguire accertamenti sul diniego espresso dalla società in ordine alle pretese avanzate dall’ente. È il caso di osservare che la decisione è importante non già per quanto afferma, bensì per quanto lascia intravedere in ordine al labirinto in cui può venire a trovarsi l’ente socio che, seguendo i principi di buona amministrazione, si cimenti nell’arduo processo di dismissione delle quote azionarie ritenute non strategiche per la propria mission istituzionale.